Catania, 1 aprile 2014
Caro Elio Calabresi,
in questa mia lettera voglio dirti che tu eri migliore di me. Non te l’ho detto allora, nei corridoi chiari dell’Accademia di Belle Arti o davanti a una granita. Ma te lo dico ora nei corridoi chiari dell’Accademia mentre tu sei nelle verdi praterie del cielo che ancora non conosco. Tu eri migliore di me. Con i ragazzi eri speciale, soprattutto con quelli deboli. Questo il punto. Quando ho davanti un ragazzo che stenta, che si imbrana, che non legge, ho una specie di disappunto interno. Tu no. Lo investivi di una speciale tenerezza e pure di attenzione. Non lo svalutavi mai, anzi gonfiavi quella sua scarsa stima che si portava sulla faccia. E quando uno di questi usciva da un colloquio con te, da un esame, da un incontro di tesi, splendeva in lui una forza che non c’era prima. Non lo gonfiavi, no, niente affatto, davi aria alla suo piccolo talento. Perché tutti hanno un piccolo talento. Questo talento tu lo vedevi e lo lucidavi. In questo eri migliore di me.
Un’altra arma che tu possedevi era l’ironia o meglio ancora la capacità di sgonfiare il dramma. Qui a Catania, lo sai, c’è tutta un’arte speciale della pantomima. Con enfasi teatrale anche uno screzio può diventare rumoroso come una guerra e giù parole, recriminazioni, toni alti di voce e di musi. Allora, nelle riunioni e o tensioni di lavoro, la tua battuta faceva svanire la tensione come granita sotto il sole di agosto. Anche in questo eri migliore di me. Non c’era in te l’idea della tragedia nelle cose della vita, ma tutta un’aria di commedia leggera. Le vere tragedie tu lo sapevi, perché eri molto intelligente, non erano quelle. Erano altre, nelle corsie d’ospedale, nelle trincee, nei terremoti. Le ire funeste invece degli uomini arrabbiati, sono solo bolle di sapone. Così ci facevi ridere con la tue battute e con quel fare che tua moglie Laura chiama “sornione”, quell’aria da gatto, insomma. Il gatto non si cura delle sciocchezze del genere umano, ma piuttosto sta nel suo tranquillo silenzio.
Ora tu sei dentro un silenzio senza fine e mi dispiace. E da questo clamore senza senso ti abbraccio. Con l’affetto che non ti ho mai dichiarato prima, ti abbraccio ancora e sempre.
Giovanna Giordano